Riforma sanitaria: il punto di vista del territorio montano della Vallecamonica e del Sebino

Il termine di fine anno ormai imminente, circa la verifica dell’applicazione della riforma sanitaria lombarda legata alla legge 23/2015, impone alla politica la responsabilità di tradure in una proposta concreta le istanze e le osservazioni che i singoli territori, oggetto di riforma in questi anni, hanno condiviso con i tavoli di rappresentanza e con i soggetti attivi nella riflessione sulla gestione socio-sanitaria.

La riforma del 2015 ha ridefinito l’assetto istituzionale del socio-sanitario dividendo il territorio in 8 ATS e in 27 Aziende Sociosanitarie Territoriali e istituendo sia Presidi Ospedalieri territoriali (POT) sia i Presidi Sociosanitari (PREST). Alle ASST è affidato il coordinamento della rete di erogatori pubblici e privati.

Il nostro territorio, dopo la positiva esperienza di autonomia introdotta dalla L.R. 15/2008, a modifica della Legge di riordino sanitario regionale 31/97, unica realtà geografica che ha sperimentato l’autonomia sanitaria ospedaliera e territoriale, ha subito l’innaturale collocazione con Valtellina, Valchiavenna e Alto Lario, con l’idea, rivelatasi velleitaria e non attuata, di dare maggiori risorse alla sanità di montagna, con l’aggravante, nel nostro caso, di averla disarticolata dal territorio bresciano, con  le sue eccellenze Universitarie ed Ospedaliere.

La parola chiave della Riforma era passare dalla “cura” al “prendersi cura”, felice sintesi di un obiettivo condiviso, ma rilevatosi purtroppo velleitario. La legge Regionale del 2015, infatti, ha dimostrato gravi lacune, proprio sulla capacità di prendersi cura da parte della Medicina Territoriale, considerata di minor valore rispetto alla Medicina Ospedaliera.

“Partendo da questo presupposto –  ha sottolineato il Segretario di Zona Pier Luigi Mottinelli –  crediamo che proprio i territori marginali, delle cosiddette Terre Alte, debbano portare un valore aggiunto in termini di proposta, in quanto la riforma ha fortemente sostenuto la programmazione centrale,  favorendo le aree urbane con alta densità abitativa”.

L’esperienza Camuno Sebina aveva evidenziato come la rete socio-sanitaria fosse in grado di compensare le carenze del sistema sanitario regionale, attraverso un processo di scambio in cui la singola esperienza territoriale legata ai distretti socio sociosanitari territoriali acquisiva valore aggiunto.

Riteniamo che siano 3 i livelli su cui sia necessario ripensare il modello Lombardo

Il modello organizzativo

L’aggregazione delle ASST in aree ritenute omogenee, attraverso il coordinamento di ATS, ha evidenziato una incapacità di lettura delle esperienze territoriali e delle caratteristiche, anche morfologiche, dei diversi territori. Da questo presupposto il grande lavoro di condivisione delle buone prassi costruitesi negli anni ha subito un arresto dovuto ad una rigidità programmatoria di RL nel tentativo di omogeneizzare i servizi sul territorio Lombardo.

La “distanza” di ATS dall’operatività dei singoli distretti è un limite che non potrà essere superato se non attraverso una ridefinizione territoriale delle ATS stesse (occorre ripensare l’effettivo significato di omogeneità territoriale, una valutazione che non può prescindere dall’ area provinciale di riferimento), oppure attraverso una delega programmatoria reale verso ASST in cui i distretti abbiano le risorse per indirizzare le scelte organizzative e di servizio.

“In sintesi – sottolinea Mottinelli –  va ripensato il ruolo delle ATS, che al di là delle forzate anomalie territoriali, come nel caso del velleitario tentativo dell’ATS della Montagna, vanno superate, come avevamo proposto in sede di audizione per la stesura della L.r. 23/2015, per lasciare il posto ad un‘unica Agenzia Sanitaria Regionale, con ruoli di programmazione e non di sola erogazione di servizi alle ASST”.

In questo contesto assume ancora più evidenza il ruolo secondario a cui viene relegata l’Assemblea dei Sindaci, svuotata della sua funzione principale di verifica e controllo e svuotata dell’impulso propositivo di cui dovrebbe farsi carico, nel principio di prossimità dei servizi. Va dato ruolo e responsabilità ai Comuni, reso evidente a tutti nella gestione della pandemia, introducendo momenti di loro espressione vincolante su bilanci ed operato della Dirigenza Strategica. Non siamo nostalgici della gestione della sanità da parte degli Amministratori pubblici locali, ma crediamo fortemente nel principio di responsabilità e rappresentatività dei comuni. Lo stesso concetto di presa in carico del paziente, impone che venga applicato il principio di sussidiarietà verticale in cui le amministrazioni locali ed ASST non solo condividano la stessa responsabilità, ma siano messe ugualmente nelle condizioni di poter scegliere.

La rete dei servizi

L’attuale pandemia ha evidenziato come la centralità ospedaliera all’interno del Sistema Lombardo sia insufficiente a garantire risposte veloci e coerenti con le risorse presenti nei territori.

Per quello che riguarda il sistema Ospedaliero della nostra ASST, le lungimiranti scelte di un non troppo distante passato, ci hanno consegnato un Sistema Ospedaliero con Esine e Edolo che convince; va però completata la ridefinizione del ruolo di Edolo, per quanto riguarda gli esami diagnostici, le visite mediche, i reparti di Traumatologia -Ortopedia e Riabilitazione, come vero Ospedale di Primo Soccorso, ma attento alle specializzazioni che non necessitino di Rianimazione. Presidio Sanitario capace di richiamare i turisti dell’Alta Valle e i pazienti della vicina Valtellina, per la nota capacità di accoglienza del personale sanitario, visto il graduale ridimensionamento dell’Ospedale di Sondalo. L’Ospedale di Esine va potenziato, stabilizzato con le professionalità mediche e infermieristiche, con le relazioni di collaborazione con il vicino Ospedale di Lovere, che di fatto, costituisce un unico sistema sanitario con la Valle Camonica e l’implementazione con l’Università di Brescia e gli Spedali Civili.

I Presidi Sanitari Territoriali di Cedegolo, Breno, Darfo e Pisogne, unitamente ai Presidi Ospedalieri di Esine e Edolo, devono rappresentare punti di erogazione di servizi ambulatoriali e diagnostica, servizi che in questi anni sono stati ceduti, nel silenzio quasi generale, ai Poliambulatori Privati, motivati dai tempi di attesa non adeguati, con un esborso economico importante per le famiglie del nostro territorio. Gli stessi presidi devono diventare momento di incontro e di rete di servizi tra Medicina di Base e Medicina Specialistica, per divenire quelle “Case della Salute” di esperienza Emiliana, che tanto hanno fatto la differenza nell’emergenza pandemica.

La Rete di Emergenza Urgenza è un altro tassello importante che va sempre tenuto in grande attenzione, viste le caratteristiche orografiche del nostro territorio. Non vanno accettate riorganizzazioni che diminuiscano il tempo di intervento proprio in quei territori dove i tempi di percorrenza sono maggiori ed è necessario l’impiego sovente dell’elisoccorso.

Pensare che in territori geograficamente estesi con bassa densità abitativa la risposta sanitaria possa avvenire concentrando le prestazioni e diminuendo i giorni di degenza è un limite organizzativo che ricade sulle fasce deboli della popolazione. La contraddizione è dovuta al fatto che in realtà si presuppone che siano le persone che debbano avvicinarsi ai servizi e non i servizi che diventano prossimi alla popolazione. In questa cornice TRE sono i pilastri su cui è necessario rivedere il sistema sanitario attuale. Primariamente deve essere rivisto il ruolo della medicina di base e della rete a supporto della stessa che deve sostenere gli ospedali attraverso un processo di complementarietà in cui l’accesso più prossimo dei cittadini (MMG), abbia delle funzioni chiare. Per noi queste funzioni si traducono in un concetto di cura ampio, che contempla la prevenzione, il monitoraggio generale della salute della popolazione tramite screening di controllo, e la gestione delle cure intermedie. Affiancare i medici di base significa permettere loro di associarsi e dotarli di una struttura organizzativa che preveda l’implementazione operativa dell’infermiere di comunità, dare loro la possibilità di avvalersi di strumenti diagnostici da utilizzare al domicilio (telemedicina) attraverso l’introduzione di unità di assistenza sanitaria (evoluzione del sistema USCA – ADI) e sostenere il sistema di monitoraggio sanitario dotandoli di strumenti che permettano una reale condivisione statistica.

Non di meno, per screening, esami e prenotazioni, un supporto importante può venire dalla rete delle Farmacie Rurali, che rappresentano un supporto importante per la Medicina di Base Territoriale.

Da un punto di vista generale invece si ritiene sia necessario superare il limite insito nella legge regionale  23/2015 che individua una separazione nella gestione delle funzioni amministrative delle cure primarie in capo ad ATS e la gestione clinico organizzativa della rete territoriale in capo ad ASST in modo da ristabilire la coerenza di una governance territoriale.

L’interconnessione sociosanitaria

La settorializzazione del sistema sanitario e del sistema socio-sanitario, rappresentano a pieno titolo il fallimento del concetto di prossimità dei servizi e della politica di valorizzazione delle esperienze territoriali in funzione della presa in carico globale. Svilire il ruolo degli Uffici di Piano, a valere sulla L.328/200, in qualità di osservatori privilegiati delle dinamiche socio-economiche dei distretti, significa avvallare il concetto che bisogni sociali e bisogni sanitari non siano connessi e non possano trovare risposta all’interno di una presa in carico globale.

Sul territorio della nostra ASST Valle Camonica Sebino la presenza dell’Azienda Territoriale Servizi alla Persona, rappresenta un’eccellenza di ausilio e interfaccia tra i ruoli dei comuni e la Sanità Regionale. Nei territori periferici, infatti, spesso e volentieri, la rete socio-sanitaria supplisce a una serie di bisogni prevenendo di fatto situazioni di rischio future. Inoltre il sistema di accreditamento ha spinto gli enti gestori delle strutture socio-sanitarie a specializzarsi e ad innovarsi da un punto di vista organizzativo e tecnologico. La rete di questi Enti deve essere inserita all’interno di una programmazione che supplisca ai limiti geografici territoriali sfruttando il valore aggiunto generato dalla loro capillarità, impegnando Regione Lombardia ad investire sulla loro specificità senza dover forzatamente implementare nuove unità d’offerta con un evidente spreco di risorse.

“In Vallecamonica e nel Sebino – conclude Mottinelli –   si potrebbe sperimentare, recuperando l’esperienza della RSA Aperte, un ruolo proattivo della RSA,  in stretto rapporto con la rete di Ospedale e Medicina Territoriale,  per le  cure intermedie  per i pazienti affetti da postumi di un evento acuto o da scompenso, provenienti anche dal proprio domicilio, che necessiterebbero per un periodo di tempo di supporto medico e infermieristico, senza che spesso si trovi un posto letto di cure intermedie quanto per i pazienti, pur stabilizzati ma con un bisogno di accompagnamento in fase di dimissione dal reparto di degenza per acuti.  Ugualmente per tali casi non si riesce a garantire un accesso in struttura di assistenza extra-ospedaliera, sicché il paziente o la sua famiglia sono lasciati soli, al netto dell’ADI, che va in ogni caso potenziato”.

RSA, Centri Riabilitativi, reti di assistenza domiciliare possono diventare uno snodo nell’integrazione socio-sanitaria (degenze di comunità, telemedicina diagnostica, sorveglianza sanitaria e assistenza diretta) a patto che venga rivisto il ruolo delle Unità di Valutazione Multidimensionale anche in funzione sociale e vengano chiarite le funzioni del Case Manager ridisegnando l’architettura del sistema di interscambio informativo, presupposto fondamentale per non lasciare i cittadini soli a doversi orientare nella rete dei servizi garantendo così loro il diritto alle cure più appropriate e tempestive.

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