Servizi neuropsichiatrici di Fraternità Giovani: il Covid-19 non li ferma
A Brescia e provincia, come nel resto d’Italia, il lockdown conseguente alla pandemia da Covid-19 ha bloccato per circa tre mesi anche la frequentazione da parte degli utenti dei centri semiresidenziali e diurni che si occupano dei bisogni degli adolescenti in ambito educativo, socio-assistenziale e socio-sanitario integrato.
La Cooperativa sociale Onlus Fraternità Giovani, con sede a Travagliato, ha in gestione quattro di questi servizi sul territorio bresciano: il Centro residenziale terapeutico per la neuropsichiatria adolescenziale «Raggio di sole» a Ome, il Centro semiresidenziale terapeutico per la neuropsichiatria adolescenziale «Raggio di sole» a Brescia, il Centro semiresidenziale terapeutico per la neuropsichiatria adolescenziale «Raggio di luna» a Macesina di Bedizzole e il Centro diurno per la neuropsichiatria adolescenziale «Papillon» a Visano. A questi centri, attivi da diversi anni, si è aggiunto nel 2017 anche «Piccole Pesti», un progetto sviluppato a Brescia per andare incontro alle esigenze neuropsichiatriche di bambini dai 5 agli 11 anni portatori di gravi disturbi esternalizzanti.
Dall’inizio di marzo ai primi giorni di giugno, in ottemperanza ai vari Dpcm, quattro dei cinque servizi territoriali hanno dovuto chiudere le loro porte alla frequentazione fisica da parte dei giovani utenti. Ma si trattava di un’utenza che non poteva essere abbandonata a sé stessa, nemmeno per cause di forza maggiore. Così Fraternità Giovani, insieme con i responsabili dei vari centri, ha ridisegnato, riorganizzato e attivato per ciascun servizio la modalità di fruizione più adatta per poter proseguire l’importante percorso educativo e assistenziale intrapreso con ciascun utente.
Il CSRTA RAGGIO DI SOLE di Brescia (in via Bettinzoli 5) ospitava 30 utenti (17 maschi e 13 femmine) prima della chiusura dovuta al lockdown, con una presenza media giornaliera di 14 ragazzi. Come per tutte le strutture, non è stato possibile effettuare nuovi ingressi in questi mesi a causa delle restrizioni dovute al contenimento della pandemia. Durante il periodo di fermo, gli operatori – supervisionati da Emanuele Frugoni insieme con la direzione sanitaria della dottoressa Elena Viganò – hanno mantenuto i rapporti con gli utenti tramite contatti a distanza, attraverso chiamate o videochiamate. Alcuni utenti, in particolare, necessitavano di un supporto scolastico in vista degli esami di terza media, e con loro il contatto telefonico era quotidiano, altri, invece, venivano sentiti almeno due/tre volte la settimana. Oltre al lavoro diretto con i ragazzi, anche i genitori sono stati contattati per colloqui educativi e psicologici a distanza. La riattivazione del Centro ai primi di giugno ha consentito agli operatori ad integrare il lavoro fatto durante il lockdown con il naturale lavoro riabilitativo in presenza, utilizzando le telefonate, le uscite domiciliari e la presenza al Centro di massimo 5 ragazzi in contemporanea. Vista l’esperienza positiva maturata in questi tre mesi, si sta pensando di utilizzare strumenti informatici (come, ad esempio, i forum online) per attivare discussioni che solitamente venivano condotte in gruppo e che al momento non è possibile riprendere per assicurare il distanziamento sociale.
«L’attività terapeutica e riabilitativa, quella educativa in genere, necessita del rapporto umano e dell’incontro tra persone, diversamente, senza potersi incontrare, risulta tutto molto complicato – ha spiegato il responsabile Frugoni -. Inoltre, la modalità di lavoro del Csrta è quella di aprirsi al territorio favorendo l’attivazione anche di altre risorse e persone, associazioni, oratori, centri sportivi, realtà comunali, Club alpino e altro che con la modalità in remoto non è possibile sfruttare. Mescolando, però, i vari metodi di intervento (in presenza, in remoto e sul territorio), il Centro avrà la possibilità di “agganciare” sempre più ragazzi e quindi sostenere più famiglie».
Il CSRTA RAGGIO DI LUNA di Macesina di Bedizzole prima della chiusura contava 17 utenti (9 femmine e 8 maschi) dai 13 ai 18 anni. Anche in questo caso, i contatti con i ragazzi sono stati tenuti dagli operatori attraverso videochiamate singole e di gruppo, con una frequenza variabile a seconda delle reali necessità di ciascun utente, e comunque almeno due o tre volte alla settimana. Il Centro, guidato da Laura Piemonti con la direzione sanitaria della dottoresa Laura Chimini, è stato riattivato i primi giorni di giugno, ma le modalità di accesso sono cambiate rispetto a prima: è stata sospesa la somministrazione dei pasti e gli utenti sono stati divisi in due gruppi più piccoli (uno al mattino e uno al pomeriggio) per permettere una frequentazione in sicurezza. Nel frattempo, si sono liberati alcuni posti all’interno della struttura, ciò permetterà l’ingresso di nuovi utenti. «Abbiamo iniziato ad incontrare i genitori dei ragazzi che entreranno, mentre per prendere contatto con i nuovi utenti procederemo con delle visite domiciliari per dare il tempo a chi già frequentava il centro di abituarsi alla nuova situazione in presenza», spiega Laura Piemonti, «In questi mesi passati a distanza ci siamo sentiti comunque vicini, abbiamo capito che questi strumenti digitali si potrebbero approfondire, ora non siamo allenati e istruiti per farlo al meglio. Questi sono strumenti di comunicazione che i giovani usano quotidianamente, entrarci di più è un modo per conoscere meglio il modo che hanno di relazionarsi con l’altro».
Il CRTA RAGGIO DI SOLE a Ome contava 13 utenti (6 maschi e 7 femmine) prima della chiusura per il lockdown. Il Crta, diretto da Mauro Ghilardi, con la direzione sanitaria della dottoressa Sara Micheli, è una comunità a tutti gli effetti: i ragazzi vivono in struttura con gli operatori giorno e notte. In questo caso si è continuato a lavorare in stretta vicinanza: i ragazzi non sono più potuti uscire dalla struttura e non hanno potuto vedere genitori e famigliari per settimane, quindi la sfida è stata trovare ogni giorno una modalità diversa per rendere meno difficile e traumatico l’isolamento. Ora, con l’allentamento delle restrizioni, i genitori possono venire a far visita ai ragazzi, con tutte le precauzioni del caso.
«Un vantaggio scoperto in questi mesi difficili – svela Ghilardi – è stato quello di poter svolgere le riunioni settimanali di equipe da remoto, permettendo così di coinvolgere un più alto numero di operatori rispetto a quando si fanno in presenza».
Il CENTRO DIURNO PAPILLON di Visano prima del lockdown ospitava in tutto 11 minori, 8 maschi e 3 femmine. Quando il Centro ha dovuto chiudere le porte, i contatti con gli utenti sono continuati attraverso chiamate e videochiamate, messaggi, giochi on line e visite domiciliari che venivano svolte facendo una passeggiata nei dintorni dell’abitazione perché l’operatore non poteva entrare a casa del ragazzo. Ora che il servizio è ripartito, ma con le restrizioni dovute al numero di utenti presenti contemporaneamente, l’attività in presenza è stata integrata con l’attività a distanza attivata in questi mesi e le visite domiciliari. La modalità di contatto digitale «ci ha permesso un monitoraggio quotidiano che non sempre abbiamo con la frequenza in presenza perché alcuni ragazzi vengono qui solo alcuni giorni a settimana», spiega Stefania Guerrini, responsabile del Centro, insieme con la direttrice sanitaria dottoressa Laura Chimini, «abbiamo, inoltre, la possibilità di vedere il contesto di vita e soprattutto le modalità di relazione dei famigliari, di avere maggiori contatti con i genitori che solitamente sono sfuggenti e di garantire una continuità di erogazione del progetto terapeutico. Questa modalità potrebbe permetterci in futuro di lavorare con ragazzi che sono particolarmente restii a venire al centro».
Il progetto PICCOLE PESTI a Brescia (in via Antica Strada Mantovana 110) è nato nel 2017 per accogliere le famiglie di bambini e bambine, di età compresa tra i 5 e gli 11 anni, con difficoltà di adattamento emotivo/sociale nei diversi contesti di vita abituali. Prima della chiusura a inizio marzo, frequentavano il Centro 24 utenti, dei quali una sola femmina. Durante il lockdown «Abbiamo chiamato e videochiamato regolarmente le famiglie, proponendo settimanalmente attività da svolgere a casa. Inoltre, abbiamo dato la possibilità per le situazioni più fragili e bisognose di avere colloqui telefonici con la nostra Psicoterapeuta, con la Neuropsichiatra infantile e colloqui educativi con il coordinatore del servizio» racconta Enrico Fregoni, responsabile del progetto insieme con la direttrice sanitaria dottoressa Elena Viganò. Intorno alla metà di giugno il servizio in presenza è stato riattivato. «Si prospetta un parziale ritorno alle modalità precedenti con incontri in presenza dei bambini, anche se con gruppi meno numerosi – annuncia Fregoni -. A distanza abbiamo avuto grosse difficoltà nell’interfacciarci con i bambini, che nella loro fase di sviluppo necessitano anche di contatto e di presenza dell’adulto. Verranno invece mantenute le modalità telematiche per quanto riguarda gli incontri con i genitori e le riunioni di équipe dove questa modalità si è rivelata molto efficace».
«Questo periodo così complicato ci ha, tuttavia, permesso di riprogettare alcuni nostri servizi, soprattutto quelli semiresidenziali, permettendoci di attivare una risposta ancora più vicina ai pazienti. Mescolando attività in presenza nei centri, a distanza e domiciliare siamo diventati un servizio quasi territoriale a totale beneficio dei nostri utenti e delle loro famiglie» hanno concluso Massimo Belandi, amministratore delegato di Fraternità Giovani, e Laura Rocco, presidente della Cooperativa.